Cass., Sent. 08.07.2022, n. 21656
Accertamento da studi di settore: la "grave incongruenza" deve essere contestata con apposito motivo di impugnazione dell'atto impositivo.
"Deve aggiungersi che con le memorie depositate il contribuente - richiamando la sentenza di questa Corte n. 23357 del 19 settembre 2019 - allega, apparentemente per la prima volta, che il mero scostamento tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore, in quanto non significativo, non legittimerebbe l'Amministrazione finanziaria a procedere all'accertamento induttivo, essendo necessario che venga ravvisata una «grave incongruenza». Orbene, deve osservarsi che una siffatta doglianza non può essere avanzata per la prima volta innanzi al giudice di legittimità, atteso che, risolvendosi nella contestazione della sussistenza di un presupposto per l'esercizio del potere impositivo, costituisce un vizio dell'avviso di accertamento e, in quanto tale, può essere esaminato dal giudice tributario solo in quanto ritualmente dedotto quale motivo di impugnazione, avuto riguardo alla natura impugnatoria del giudizio tributario, in ragione della quale l'indagine sul rapporto sostanziale è limitata alla contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell'Amministrazione specificamente dedotti dal contribuente quali motivo di ricorso. Pertanto, la questione della insussistenza di «grave incongruenza» risulta essere irritualmente sollevata dal contribuente, in quanto non è possibile annullare un provvedimento impositivo per vizi diversi da quelli dedotti con il ricorso originario - o, nei limiti consentiti, con i motivi aggiunti - anche se risultanti dagli stessi elementi acquisiti al giudizio, in quanto tali ulteriori profili di illegittimità risultano estranei al thema decidendum, come definito dalle scelte del ricorrente. L'opposto orientamento - seguito da questa Corte in alcune pronunce omette, dunque, di confrontarsi con la natura impugnatoria del giudizio tributario e, per tale motivo, non appare convincente. Inoltre, nella parte in cui tale orientamento annette alla deduzione della insussistenza del grave scostamento natura di mera difesa (o eccezione in senso lato), per inferirne la sua estraneità al divieto di proporre nuove eccezioni in appello, sembra trascurare che una siffatta deduzione, lungi dal costituire una mera negazione della pretesa erariale, introduce nel giudizio, in realtà, un tema diverso, rappresentato dalla modalità con cui l'Amministrazione è pervenuta all'accertamento della maggiore imposta e dalla sussistenza di elementi che la legge eleva a indici presuntivi di un maggior reddito non dichiarato. Inoltre, può osservarsi, più in generale, che, con riferimento a giudizi civili in ambito diverso da quello tributario, i principi elaborati da questa Corte in tema di rilevabilità d'ufficio nel giudizio di legittimità sono orientati, da un lato, ad affidare al giudice di merito l'accertamento dei fatti rilevanti e, dall'altro, a evitare che l'intimato sia costretto a subire il vulnus delle maturate preclusioni processuali. A tal fine, si è costantemente affermato che la proposizione, per la prima volta, nel giudizio di legittimità di un'eccezione in senso lato - in quanto tale rilevabile d'ufficio - è ammissibile solo qualora non siano necessari accertamenti di fatto, atteso che «l'esame demandato al giudice di legittimità attiene ad una quaestio iuris, ossia alla mera qualificazione del fatto - già tempestivamente dedotto - al fine di pervenire all'esatta applicazione della legge». Pertanto, anche indipendentemente dalle considerazioni precedentemente espresse in ordine alla natura impugnatoria del giudizio tributario e dalla non riconducibilità della questione in esame al novero delle eccezioni in senso lato, la necessità di un accertamento fattuale in ordine all'entità dello scostamento, imposta dall'assenza di elementi significativi contenuti nella sentenza, osterebbe alla rilevabilità officiosa in sede di legittimità della questione in esame"