Cass., Ord. 29.08.2024, n. 23341

22.10.2024

Sulla trasmissibilità delle sanzioni tributarie ai soci di società estinta.

"Lo scioglimento della società e l'estinzione conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese devono essere, quindi, lette nella medesima prospettiva che regola la nascita e il funzionamento della società. Quest'ultima nasce con la stipulazione di un contratto (art. 2247 cod. civ.), per effetto del quale viene costituita una struttura organizzativa che fa capo a un soggetto autonomo e distinto dai soci che, nel caso della società di capitali, acquisisce la personalità giuridica con l' iscrizione nel registro delle imprese (art. 2331 cod. civ.).
Lo scioglimento della società comporta, quindi, il termine di un'attività economica comunitariamente organizzata e con essa il venir meno del soggetto cui quest'ultima era imputata. L'estinzione della società non fa, tuttavia, venir meno i rapporti attivi e passivi di cui la stessa era titolare, ma comporta piuttosto una vicenda successoria (Cass. Sez. U, n. 6070 del 2013, cit.). La regolazione dei rapporti passivi, in particolare, ruota attorno al coordinamento tra il principio di garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 cod. civ. (in relazione ai beni rientranti nella titolarità dell'ente estinto) e le norme che scandiscono la responsabilità patrimoniale dei soci per i debiti della società. La circostanza che il socio di una società di capitali estinta risponda dei debiti di quest'ultima, nei limiti di quanto attribuito in sede di liquidazione, costituisce la proiezione della regola che vede il patrimonio sociale oggetto, in via prioritaria, della garanzia (generica) ex art. 2740 c.c. per i debiti sorti durante l'esercizio dell'attività economica che ha caratterizzato l'oggetto sociale e solo successivamente di un'attribuzione, in via residuale, ai soci in relazione alla partecipazione detenuta nella società estinta.
È in tale prospettiva che il socio di una società di capitali risponde anche per le obbligazioni della società estinta rimaste inadempiute, comprese quelle relative alle sanzioni pecuniarie derivanti dalla violazione di norme tributarie, nei limiti di quanto attribuito nel bilancio di liquidazione. Tale regola è coerente, dal punto di vista sistematico, con la previsione dell'art. 36, terzo comma, D.P.R. n. 602 del 1973 (che estende la responsabilità dei soci per il pagamento delle imposte anche a quanto ricevuto negli ultimi due periodi di imposta antecedenti alla messa in liquidazione e non solamente ai beni o al denaro ricevuto durante quest'ultima).
Il fenomeno successorio sui generis regolato nell'art. 2495, comma 3, cod. civ. ("che tale è anche se si vogliano rifiutare improprie suggestioni antropomorfiche derivanti dal possibile accostamento tra l'estinzione della società e la morte di una persona fisica..", v. Cass., Sez. U., n. 6070 del 2013) presenta, quindi, una contiguità di tipo linguistico e descrittivo più che di tipo sostanziale rispetto alla disciplina delle successioni regolate nel secondo libro del codice civile. Di conseguenza non può trovare applicazione l'art. 8 D.Lgs. n. 472 del 1997 ("L'obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi."), non essendoci alcun margine per qualificare l'estinzione della società e la morte della persona fisica come "casi simili", ai sensi e per gli effetti di quanto previsto nell'art. 12, secondo comma, prel. ai fini dell'interpretazione analogica. Tale conclusione trova ulteriore conferma, in termini sistematici, nella disciplina che regola il regime di responsabilità per le sanzioni tributarie nel caso delle società o enti con personalità giuridica. A tal fine l'art. 7 D.L. n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003, (ulteriore parametro normativo posto a fondamento del motivo di ricorso ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) prevede che: "Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica".

La norma appena richiamata esclude ogni e qualsivoglia responsabilità solidale dei soci (o degli associati) in relazione alle società o agli enti con personalità giuridica e prima ancora con l'autore dell' infrazione. La sua ratio è, infatti, quella di rompere lo schema penalistico che connota le sanzioni tributarie, al fine di evitare che l'autonomia patrimoniale perfetta conseguente all'acquisizione della personalità giuridica faccia ricadere gli effetti della sanzione su un soggetto diverso da quello che si avvantaggia, in concreto, della violazione della norma tributaria. L'art. 7 D.L. n. 269 del 2003 costituisce, quindi, una sorta di correttivo al principio personalistico che caratterizza l' impianto sanzionatorio in ambito tributario, determinando una scissione tra chi commette materialmente la violazione (dipendente o legale rappresentante della società di capitali) e il soggetto che si avvantaggia dei risultati di quest'ultima (la società). Tale norma non è, tuttavia, incompatibile con il meccanismo che regola la responsabilità per i debiti della società estinta ai sensi dell'art. 2495, comma 3, cod. civ., secondo il quale il socio risponde, nei limiti di quanto attribuito in sede di liquidazione. In caso contrario, l'estinzione della società eliderebbe, infatti, il legame di garanzia (generica) tra i beni già parte del patrimonio sociale attribuiti ai soci e l'obbligazione avente per oggetto il pagamento della sanzione tributaria, non solo con un'evidente deroga all'art. 2740 cod. civ., ma anche in contrapposizione alla ratio stessa dell'art. 7 D.L. n. 269 del 2003.

Deve essere quindi affermato il seguente principio di diritto: "L'estinzione della società di capitali conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese integra un fenomeno successorio connotato da caratteristiche sui generis, connesse al regime di responsabilità dei soci per i debiti sociali nelle differenti tipologie di società, con la conseguenza che i soci sono chiamati a rispondere anche per il pagamento della sanzioni tributarie nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione, venendo, altrimenti, vanificata la ratio sottesa all'art. 7 D.L. 30/09/2003, n. 769, convertito con modificazioni dalla legge 24/11/2003, n. 326, funzionale a evitare che gli effetti della sanzione ricadano su un soggetto diverso da quello che si avvantaggia, in concreto, della violazione della norma tributaria".