Cass., Ord. 27.11.2024, n. 30598
Sul presupposto che legittima la presunzione di maggiori ricavi occulti e sugli elementi, concorrenti e non alternativi tra loro, perché questa sia pienamente idonea.
"Si censura l'impugnata sentenza per aver erroneamente disatteso il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui l'accertamento di dividendi extracontabili in capo a una società di capitali a ristretta base partecipativa genera la presunzione della loro distribuzione "pro quota" ai soci.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, in caso di società di capitali a ristretta base è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli eventuali utili occulti accertati in capo all'ente collettivo, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati fatti oggetto di distribuzione, bensì accantonati dalla società o da questa reinvestiti, o che degli stessi si è appropriato altro soggetto.
Perché possa essere applicata l'anzidetta presunzione, la quale opera indipendentemente dall'esistenza o meno di rapporti familiari fra i soci, occorre non solo che sia provata la ristretta base sociale, ma altresì che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non dichiarati; non si richiede, invece, che l'avviso di accertamento emesso nei confronti del socio si fondi anche su elementi di riscontro tesi a verificare, attraverso l'analisi delle movimentazioni bancarie, l'intervenuto acquisto di beni di particolare valore non giustificabile sulla scorta dei redditi da lui dichiarati. È stato pure chiarito che nell' ipotesi in esame non ricorre la violazione del divieto di presunzioni di secondo grado (cd."praesumptio de praesumpto") - ove mai reputato sussistente nel nostro ordinamento -, in quanto il fatto noto da cui muove il ragionamento inferenziale non è costituito dalla sussistenza di maggiori redditi induttivamente accertati in testa alla società, ma dalla ristrettezza della base proprietaria, dal vincolo di solidarietà ravvisabile fra i soci, dalla maggiore conoscibilità, da parte di questi ultimi, dell'andamento degli affari societari e dell'esistenza di dividendi non contabilizzati, nonché dal reciproco controllo che i componenti di simili ristrette compagini normalmente esercitano fra di loro.
Non si è poi mancato di puntualizzare che:
- la presunzione in discorso, la quale rinviene il suo fondamento nella "complicità" che di regola avvince un gruppo societario composto da poche persone, non trova ostacolo nel fatto che gli utili occulti siano riferiti a società di cui quelle a ristretta base siano a loro volte socie, essendo applicabile anche in ipotesi di partecipazione mediata tramite lo schermo di altra persona giuridica;
- essa rimane valida pure dopo l' introduzione dell'art. 7, comma 5-bis, del D.Lgs. n. 546 del 1992, il quale non comporta alcuna inversione del riparto dell'onere probatorio, né preclude il ricorso alle presunzioni semplici disciplinate dal codice civile. [...]
La prova contraria atta a vincere la presunzione semplice di cui si discetta consiste nel dimostrare che la distribuzione di utili extracontabili non è in realtà avvenuta, in quanto questi sono stati accantonati o reinvestiti dalla società, oppure incamerati da altro soggetto. [...]
Oltretutto, il solo fatto che in un arco temporale imprecisato non siano state rilevate movimentazioni in entrata sui conti correnti personali del A.A. non basta a dimostrare che egli non abbia percepito utili extracontabili nel periodo d' imposta in verifica, essendo logico supporre che per la distribuzione " in nero" di questo tipo di dividendi vengano adoperate modalità di pagamento tali da non consentire la tracciabilità dei flussi di denaro intercorsi fra la società e il socio."