Cass., Ord. 02.01.2024, n. 41
La dichiarazione di terzo sostitutiva di un atto notorio costituisce mero elemento indiziario, non essendo tout court assimilabile alla prova testimoniale.
"In linea teorica deve ritenersi corretto attribuire alla dichiarazione del terzo mero valore indiziario, assurgente a valore di prova solo in presenza di altri elementi di riscontro; e ciò pure se trattasi di dichiarazioni plurime e concordi.
Ha affermato a tale riguardo da questa Corte suprema che, nel processo tributario, la dichiarazione di terzo sostitutiva di atto notorio non è assimilabile alla prova testimoniale, preclusa dall'art. 7 comma 4 del d.lgs. n.546 del 31 dicembre 1992 come interpretato dalle sentenze della Corte Cost. nn. 18/2000 e 395/2007, ma costituisce indizio ammissibile e utilizzabile tanto dall'Amministrazione quanto dal contribuente, nel rispetto del principio di parità delle armi di cui all'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, espressione del principio di uguaglianza ai fini dell'art.3 Costituzione; e ancora che in tema di prova per presunzioni semplici, valgono i medesimi criteri di cui all'art. 2729 c.c. e, pertanto, non è sufficiente il fatto che le dichiarazioni di terzo sostitutive di atto notorio prodotte nel processo siano plurime e di contenuto analogo ("concordanza") perché l'indizio in esse contenuto assurga a prova critica, essendo necessario un approfondimento da parte del giudice circa la "precisione" del fatto storico noto, desunta dalla sua contestualizzazione anche con riferimento agli ulteriori elementi di prova raccolti nel processo, nonché riguardo alla sua "gravità", riconnessa alla probabilità della sussistenza del fatto ignoto che, sulla base della regola d'esperienza adottata, è possibile desumere da quello noto.
Va peraltro ribadito che nel processo tributario le dichiarazioni rese da un terzo, inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione e recepite nell'avviso di accertamento, hanno valore indiziario e possono assurgere a fonte di prova presuntiva, concorrendo a formare il convincimento del giudice anche se non rese in contraddittorio con il contribuente, senza necessità di ulteriori indagini da parte dell'Ufficio. [...]
Invero, in base alla formulazione del motivo, quella che i ricorrenti configurano come prima presunzione, ossia la fittizietà dell' inquadramento della compagine sociale come società cooperativa a mutualità prevalente, non integra una presunzione semplice che tragga da un fatto noto la conoscenza di un fatto ignoto, ma deriva da un prudente ed approfondito esame delle risultanze istruttorie, delle quali i giudici di appello offrono ampia evidenza nella motivazione della sentenza impugnata: le dichiarazioni reciprocamente riscontranti dei soci lavoratori, esclusi dalla organizzazione, dalla gestione e dalla conduzione della società, l'assenza di vita associativa e partecipativa, la natura meramente formale degli adempimenti amministrativi e societari posti in essere ai fini del rispetto della disciplina di favore del settore mutualistico.
Inoltre, come affermato da questa Corte, il medesimo motivo, anche quale censura alla corretta applicazione, da parte del giudice a quo, dell'art. 2729 cod. civ., sotto il profilo della ricorrenza dei tre caratteri (gravità, precisione, concordanza) individuatori della presunzione, è comunque infondato, laddove esso si sostanzia nella denuncia del contrasto della decisione impugnata con un principio, il cosiddetto "divieto di presunzioni di secondo grado o a catena", la cui sussistenza nell'ordinamento è stata esclusa da questa Corte, secondo cui: " a) il principio praesumptum de praesumpto non admittitur (o "divieto di doppie presunzioni" o "divieto di presunzioni di secondo grado o a catena"), spesso tralaticiamente menzionato in varie sentenze, è inesistente, perché non è riconducibile né agli evocati artt. 2729 e 2697 cod. civ. né a qualsiasi altra norma dell'ordinamento: come è stato più volte e da tempo sottolineato da autorevole dottrina, il fatto noto accertato in base ad una o più presunzioni (anche non legali), purché "gravi, precise e concordanti", ai sensi dell'art. 2729 cod. civ., può legittimamente costituire la premessa di una ulteriore inferenza presuntiva idonea — in quanto, a sua volta adeguata — a fondare l'accertamento del fatto ignoto."